Renzo Margonari - Maggio 1986

Come fa la renna ripercorrendo stagionalmente il sentiero ancestrale, Aldo Bergonzoni mensilmente tornava a Milano ad immergersi negli avvenimenti, ad osservare da spettatore discreto ma attento quanto si andava agitando soprattutto nelle esposizioni delle gallerie private. Una consuetudine che non interruppe mai, anche quando i viaggi erano avventurosi a causa delle difficolta' della vita in periodo bellico e nel dopoguerra, e divenne particolarmente intensa tra gli anni Cinquanta e Sessanta allorche' il capoluogo si affermo' come il piu' attivo centro di scambio tra le arti figurative in Europa. Vi rimaneva l'intera giornata, rivedeva talvolta amici e colleghi, ma soprattutto osservava un suo itinerario preferenziale che lo conduceva alle gallerie dove esponevano gli artisti d'avanguardia.

La curiosita' insaziabile, il gusto sperimentale, l'atteggiamento ipercritico lo costringevano ad una continua verifica alla quale si sottoponeva di continuo mediante questi viaggi che gli consentivano di mantenere teso il proprio ideale estetico e di protendersi nella ricerca mai esausta e sempre avanzata rispetto all'ambiente mantovano. Cosi', se la sua cultura puo' ben dirsi di formazione internazionale, come ha potuto farla da quest'osservatorio privilegiato, non meno e' necessario rilevare che Bergonzoni e' soprattutto uno scultore lombardo, di cultura e di sentimento.

A Milano aveva studiato col maggiore e piu' discusso artista dell'epoca, Adolfo Wildt, e qui aveva ricevuto i primi consensi da Carlo Carra' (La mostra lombarda, in "L'Ambrosiano", 24 feb. 1932) e dall'autorevole critico d'arte Guglielmo Usellini ( La prima mostra provinciale d'arte organizzata nel ridotto del Teatro Sociale in "La voce di Mantova", 6 ott. 1931).

Dall'insegnamento di Wildt, all'osservazione di Arturo Martini, all'amicizia con Lucio Fontana col quale per un breve periodo divise lo studio, all'evidente affinita' di ricerca con Giovanni Paganin ed Umberto Milani per i quali non nascose la sua ammirazione, adottando certi segni od esplorando le possibilita' d'uso espressivo di certi materiali, quali il cartone cannettato come lo usava Milani, o proporre la materia con grumose asperita', usando anche reperti magmatici secondo una sensibilita' assai diffusa tra gli scultori milanesi degli anni Cinquanta, Bergonzoni si e' sempre raccordato alle ricerche estetiche che Milano andava proponendo.

E lo faceva col suo modo, esitante nell'azione ma fermo e deciso nel proposito, come dovesse per forza percorrere una via e non volendo cattive sorprese. Cio' gli permetteva di compararsi agli operatori piu' avanzati e nel contempo di mantenere una "distanza critica" dalle situazioni estetiche piu' discutibili, ma sorvegliandone l'intento, assistendo interessato agli esiti. Non aveva prevenzioni. L'arte era un suo intimo, esigente rovello che sembrava voler riservare per se' solo.

Difficilmente mostrava il proprio studio, eppure era affabilissimo con gli allievi, sempre solidale, cosicche' i piu' giovani lo elessero ad amico. Un uomo assolutamente privo di sussiego, semplice, incapace di atteggiarsi a docente anche nell'offrire consigli, ma soprattutto ansioso di riceverne, che chiedeva deliberatamente allorche' una soluzione tecnica, un espediente, l'impiego d'un materiale a lui non noto, lo incuriosivano. Ripercorrere fedelmente il tracciato della sua evoluzione estetica appare quanto mai arduo.

E' difficile muoversi nell'arcipelago delle relazioni, dei contatti, delle osservazioni, dei rapporti diretti ed indiretti, delle influenze che agirono via via sul suo lavoro; difficile se non impossibile, poiche' quasi tutta la produzione iniziale e' perduta. Di ogni scultura Bergonzoni faceva varie versioni salvandone a volte una sola e distruggendo le altre; talora eliminando interi cicli operativi e questo per l'eterna scontentezza di sé, che lo rodeva.

Altre opere furono cancellate perche', traslocando da uno studio all'altro, l'autore stesso per risparmiare il trasporto delle piu' grandi - tali erano le ristrettezze economiche - le demoliva : cio' e' anche indice, pero', del fatto che a lui premeva l'esito, il raggiungimento; della conservazione dell'opera non s'e' mai curato, e ben poco della promozione professionale partecipando a poche mostre, appena quanto bastasse a farlo riconoscere come un operatore in attivita'. Nel suo inesausto nomadismo culturale si appassionava alle tecniche tutte, per cui non v'e' aspetto dei procedimenti scultorei che non abbia tentato, dal legno al bronzo, alla terracotta, e sempre fu interessato alle varie tecniche disegnative.

Anni '30

Dopo essere stato brevemente influenzato dal maestro Adolfo Wildt, per la cui prorompente personalita' espresse sempre un grato ricordo, Bergonzoni fu subito attratto dalla solida struttura figurativa neoarcaica in voga e professata dai suoi piu' famigliari colleghi Lucio Fontana e Clinio Lorenzetti. In particolare vale il rapporto con il secondo al quale puo' paragonarsi per il fine modellato e la lieve pressione del pollice sulla superficie che appare tutta interessata da una morbida luce, appena ombrata, e con una forte struttura bloccata delle forme.

Bergonzoni presta una serena, quasi intimistica, attenzione al sentimento quotidiano e familiare, preferendo, anche nei temi, un mondo appartato dalla magniloquenza e dall'enfasi monumentalistica, dedicandosi in genere, a figure dalle braccia tese per l'offerta o l'abbraccio, o fisse in momenti di interiore raccoglimento.

Anni '40-'50

Nel decennio 1940-1950 Aldo Bergonzoni si dedica soprattutto al ritratto: teste di amici intimi, ragazze, vecchi, particolarmente intense.

Intanto elabora anche piccole figure intere con un modellato dove si nota un ripensamento della vicenda postimpressionista, con un'attenzione particolare verso la maniera di Medardo Rosso - lasciando, cioe', l'impronta della scivolata del pollice sull'argilla - ed attribuendo un deciso valore tattile alla superficie delle forme, creando incidentalita' luminose vibranti ed evidenti.

All'inizio degli anni Cinquanta Bergonzoni aderi' brevemente alla corrente neorealista. In questo periodo si dedicò all'esecuzione di opere ispirate al mondo del lavoro, soprattutto di quello contadino.

Realizzo' grandi bassorilievi in terracotta, alcuni collocati poi su edifici pubblici. In essi e' molto evidente l'impegno riferito soprattutto alla strutturazione delle masse, all'architettura, ai ritmi spaziali, piu' che all'espressione della fatica e della condizione; e' proprio in questo momento che perviene a stilizzazioni ed a sintesi che introducono un'eclettismo sperimentale che dal 1955 circa, per vent'anni, intrighera' la gia' aggrovigliata matassa del filo seguito nelle sue ricerche.

Dapprima, tra il 1950 e il 1955 si nota un accentuazione dell'interesse al "non finito" medardiano e, nel contempo, iniziano le sperimentazioni di materiali "freddi" come il cemento, che gli consentono di realizzare una materia simile a quella dei calchi pompeiani - che in realta' sono vere fusioni di gesso in forme vuote - con superfici porose, come di pietra pomice, e la definizione di piani larghi e distesi, ben definiti, dove la luce trova ampie balze su cui sostare: una lunga serie di nudi femminili con linee che si avvitano armoniosamente, una ricerca di levita' gia' lontana dalle grevi forme terragne degli anni precedenti; ginnaste e danzatrici che passano ad una verticalita' prima trascurata dall'artista.

Anni '60

Verso il 1960 inizia l'insistente ed apparentemente irrisolto entrare ed uscire dall'informale astratto, ma via via sempre piu' arricchendo il senso plastico con nuovi elementi di una diversa sensibilita', piu' attenta alla materia eppure senza mai trascurare la compostezza delle immagini, l'armonioso disporsi delle forme nello spazio.

Dal 1958 sono le "Superfici", cartoni cannettati stratificati l'uno sull'altro e strappati a brani, poi fusi in bronzo, che traducono una suggestione forse buriana, e l'impegno di materiali poveri, inusitati per la scultura. Il curiosare tra le formule della piu' avanzata espressione plastica lo conduce sino a Mirko, lo riconduce a Marino, eppoi a toccare i lidi inglesi, e rientrare sull'idea dell'uomo-albero.

Le figure diventano stalagmiti, si allontanano, si perdono. Nell'idea formale e materica di Bergonzoni non c'e' un momento in cui il riflesso della luce si disgreghi. Al contrario, sempre si organizza in partiture nette, e si' da costruire strutturalmente con evidenza cio' che la forma tattile appena suggerisce.

Anni '70

Alla fine, resta solo la luce a costruire la forma, ed essa si depura persino del tattilismo, sino alle "Architetture" del 1970, dove non resta che l'ombra sola sugli anfratti di parallelepipedi solcati verticalmente, come mattoni erosi. Una forma che, ormai ridotta alla sintesi dell'idea scultorea, si apre di nuovo, con l'"Impugnabile", come ad ospitare ed a trattenere per sempre il pensiero che le ha formate.

Negli anni '70 Bergonzoni fu particolarmente attratto da materiali poveri e d'accatto, poiche' trovava, intravedendole nella natura, le forme e le materie aspre ed accidentate che gia' erano proposte dalla poetica informalista. I legni bucati e corrosi dal tarlo o infradiciati, gli scarti delle combustioni - le "marogne" - certi frammenti di pietra carsica : ne ricavava delle cere che poi modificava e conduceva all'equilibrio estetico.

Chi cerca nella produzione dell'ultimo decennio di Bergonzoni un principio di coerenza con la pretesa che si manifesti nella reiterazione o nella consequenzialita' delle immagini e delle tecniche impiegate, non lo ritrova; ma c'e', fuor d'ogni dubbio, nel senso poetico della materia che perviene ad una progressiva decantazione, e nell'incrudelire dell'impazienza e della solitudine. La sua ricerca e' alfine concitata e veggente.

Dunque non e' agevole ripercorrere l'evoluzione del pensiero estetico della sua formazione, giustificarne ogni passo, e risalire alle lontane origini del risultato. Ma anche se non fosse rimasta che una sola opera ed anche se si dovesse ricondurre tutto all'estrema sintesi dell'esito finale, all'ideazione della scultura impugnabile, a quest'idea teneramente poetica che contiene tutta la lunga odissea del lavoro svolto sulla figura umana e dell'affinare la restituzione della luce ordinando l'ombra, solo per essa egli ha molto meritato nella storia dell'arte mantovana.