Gian Maria Erbesato - Febbraio 2002

Ho sempre pensato a quali degli artisti contemporanei si addice il pensiero di Cesanne "l'arte e' un sacerdozio che esige degli uomini puri che gli appartengono per intero". Quando ho conosciuto Aldo Bergonzoni, intorno al 1970, ho capito che egli era uno cui quella frase si poteva riferire senza paura di smentita o possibilità di inganno.

Bergonzoni, ha cessato di vivere per aver esaurito la carica vitale da lui tutta consumata, bruciata giorno per giorno nel lavoro della scultura. Ciò che poteva dare lo ha dato totalmente, con inesausta generosità. La malattia che lo ha condotto alla morte, credo sia stata la conseguenza , non la causa di una combustione artistica intensissima ; perciò egli e' morto malato e consunto, ma non vecchio o invecchiato. L'ho visto sempre braccato sia dalla gioia che dal dubbio e dall'esitazione di scolpire, ma guidato sempre da una precisa intuizione, da una limpida intelligenza, da una grande capacità di lavoro che lo ha portato a scolpire per almeno sessant'anni.

Lo ricordo nel suo studio in quegli anni. I solchi del suo volto si erano fatti antichi e profondi come i segni immutabili di un paesaggio; essi sottolineavano i tratti essenziali della sua fisionomia umana, ma in un certo senso anche della sua fisionomia artistica. Conosceva solo una regola: il lavoro. Era la sua disciplina. A volte sembrava che per lui il tempo non avesse importanza: c'era il tempo per lavorare, ed era il piu'; il poco che rimaneva era per riposare, studiare, incontrare altri artisti.

Viveva quasi in una identità assoluta con la scultura e , con il tempo , era venuto assomigliando al suo luogo piu' abituale : lo studio dove lavorava. Mi sembra di ricordare che l'atmosfera dello studio era in lui, se la portava addosso nella persona, nei capelli, nelle vesti polverose per il lavoro. Sembrava, quello studio, un domicilio, un rifugio per i momenti in cui si faceva sentire la tempesta della scultura. E per Bergonzoni quella dolce tempesta e' durata tutta la vita, entro quelle quattro mura.

Ancora odo, ben distinto, lo sciacquio che lo straccio per avvolgere le crete faceva quando egli lo immergeva, e rapidamente lo traeva da un secchio d'acqua limacciosa, e con un gesto amorevole e sapiente lo avvolgeva con rapide spire intorno alle figure che egli aveva creato e che lo attendevano, nude e quasi tremolanti per terra o sui trespoli: poi fissava le sculture come se fosse la prima e l'ultima volta. Poi si apriva a un sorriso commosso, perché si sentiva vittorioso ogni volta che l'opera era compiuta.

Ritornai in quello studio qualche tempo dopo la sua morte e sembrò incredibilmente immenso, tanto era rimasto deserto.