Rossana Bossaglia - Luglio 1979

Quando si ricapitola il cammino di un artista, seguendo il lungo arco delle sue vissute esperienze,e della sua creatività, con il ritmo rapido e intenso che il giro di una mostra consente, si e' presi insieme dall'emozione per la sintesi di tutta una vicenda umana e poetica alla quale ci si trova di fronte e dall'eccitazione critica di leggere nessi e nodi di questa vicenda, inquadrandola nella situazione storica donde si e' generata. Bergonzoni stimola in sommo grado i due atteggiamenti: perché non c'e' episodio della sua attività che non riveli l'humus culturale da cui si e' mosso e non richiami i rapporti con la condizione della scultura volta per volta conosciuta ed esperita.

E insieme e' artista di pieno candore, di abbandonata spontaneità, cui sarebbe far torto tessere un elogio tutto sul piano della ricettività culturale. Ma si può partire di qui, da quello che Bergonzoni vide e sentì nelle tappe attente e sensitive del suo iter di scultore, per capire certe pervicaci simpatie, certi ricorsi insistenti, e un gusto della materia che e' plastico nel senso piu' diretto del termine, per il privilegio conferito alla densità del modellare e la disposizione a far guizzare le forme senza che perdano la loro sostanza ponderale e l'effetto di palpabilità.

Nonostante l'alunnato con Wildt – di cui l'unica traccia ben evidente e' costituita dalla testa scolpita in legno del 1928 – Bergonzoni si colloca, con tutto un gruppo di scultori italiani della sua generazione, nella linea che riallaccia le esperienze impressioniste e post-impressioniste ( persino Renoir, ma soprattutto Maillol e Bourdelle ) all'arcaismo degli anni 1925/35 attaverso la non mai svelata ma continuamente operante presenza delle avanguardie : sia che esse lo sollecitino a impennate di stilizzazione lineare ( ai limiti di un Fazzini ), sia che, piu' di frequente lo tengano nell'ambito della sintesi plastica di un Marino- o anche di un Melotti di quegli anni - ;con qualche foggiatura espressionista (non per nulla Bergonzoni ebbe studio nel 1932 insieme con Fontana ) : quel presentarsi apparentemente concitato e stralunato del tocco rapido, a ditata evidente; che poi, in lui, e' espressionismo tutto latino, calmo nella sostanza, cioe' drammatico ma non inquieto.

Questo che Bergonzoni segue, con la dignità del convincimento personale, e' il cammino di tanta significativa scultura italiana nel cuore del nostro secolo : sotto la diretta imprescindibile suggestione di Martini, ma con l'occhio sempre piu' attento a Moore, specie nell'immediato dopoguerra.

Una scultura che crede nella materia modellata con le mani, vitalizzata dalla mano, ma non crede che il suo senso finisca lì, nel fremito della testimonianza personale, e la vuole portar oltre nella proposta di forme modulate ampiamente nello spazio, partecipi di una corale naturalità.

Tale idea della scultura accompagna e determina l'arte di Bergonzoni anche quando egli passa, poco prima degli anni Sessanta, e poi con sempre maggiore convinzione, a formule di tipo astratto e persino quando con invidiabile freschezza, nel 69/70 si mette a seguire i corsi di Urbino per apprendere la tecnica litografica. C'e' totale corrispondenza nella sua opera tra la rappresentazione grafica e quella tridimensionale : si sente ovunque l'idea portante non mai tradita.

Nel confronto con i suoi celebri compagni di cammino o con i suoi riconoscibili modelli c'e', in Bergonzoni, come peculiarità propria, una delicatezza la quale ha indotto la critica, anni fa, a parlare di eleganza. Non e' termine esatto per definire quel che di profondamente gentile e' nell'opera dello scultore ; e che diviene, parrebbe, dalla consuetudine con i pittori chiaristi, cui certa sua grafica molto assomiglia . Ma e' gentilezza ruvida, quale appare nei disegni e poi in tutta la serie di opere sul tema della "Mondina", che resta un emblema preciso della maniera di Bergonzoni.

Vicino anche a Gorni, nel chiudersi scontroso di certe immagini, dove la fatica appare connaturata alla condizione stessa del vivere, come peso ma non maledizione, e le forme corrono serrate, continue, raccolte in sé ; ma, nel confronto con Gorni, Bergonzoni appare piu' disteso e discorsivo, si direbbe piu' estroverso. Con tutti i nomi che si sono fatti sin qui non si intende soffocare la leggibilità diretta e libera della scultura di Bergonzoni e far siepe contro la riconoscibilità di un suo stile personale : che invece viene ben fuori sia nelle scelte strutturali – quelle "Maternità"gonfie e schive, appallottolate, dove l'abbraccio e' vortice di tenerezza e le membra di madre e figlio si impastano in dolcezza innocente – sia nelle scelte stilistiche, nel modo di modellare, con il continuo armeggiare del dito nella materia, le ammaccature, i solchi, i bordi rilevati, l'aggrumarsi infine quasi di fango che si fa figura.

Pare di poter dire che Bergonzoni ha cercato per tutto il suo percorso creativo di rendere quest'idea elementare e primigenia dell'attività artistica come respiro vitale conferito alla materia : il sorgere, dai sordi impasti della terra, dell'animata presenza umana. Lo scultore, al pari la sua "Mondina", curvo a interrogare il segreto del germoglio.