Francesco Bartoli - Giugno 1977

Di Bergonzoni ricordo la mano e poco la voce. Una mano irrequieta, timorosa. Il palmo e le dita addossate alle superfici, nell'atto d'incidervi furtivamente una traccia, una scalfittura. La ferita, appena abbozzata, restava librata nell'aria come un segno mentale da conservare nella memoria dell'oggetto. Credo che un simile gesto, tenero-scontroso, connotasse davvero una maniera di fare scultura e di evocare immagini in chi lo stava a guardare. Era anche una fonte di commento, il piu' insistente e appropriato, alle opere fatte e da fare. La mano, muovendosi automaticamente, diceva sempre piu' del discorso.

Spianava e segmentava la forma, incrociando curve e scalfitture, accarezzando l'unità del blocco e insieme sdoppiandolo in fenditure. C'e' una serie di disegni, ispirati al tema dell'albero, che può significativamente deporre a favore di questa maniera e dirci qualcosa sul luogo fantastico che ne eccitava lo sprigionamento. Vi sono raffigurati dei tronchi lievemente biforcati sia nella parte alta che nella bassa. La linea del suolo manca quasi del tutto. Rami e piedi appaiono spogli, troncati di netto, come se tutto il resto, fioritura, foglie, radici, non interessasse. Solo la scabra rugosità del tronco, come un busto dissertato a fatica in gambe e braccia. Una chiara metafora del corpo, la forma-uomo nella natura.

In tale immagine e' difatti ravvisabile il tema costantemente presente nelle sculture, fin dal '30. La figura-uomo, in genere un adolescente, sorpreso in stupore di attesa o nella torsione improvvisa, subito bloccata in un gesto senza tempo, ne e' al centro. La statica lotta con la dinamica, come si vede anche nella figura femminile collocata nei giardini del Lungo-rio. Il corpo e' sottile, le gambe e il busto si avvitano verticalmente, ma vengono poi sospesi nella parte alta, dove il moto ascensivo si attenua grazie al giro calante, direi quasi ancorato, delle braccia. Altre volte dell'uomo non rimane che un corpo senza arti, cesellato come una corazza, o un'architettura di fili intrecciati, un'armatura. Un guardinfante traforato.

Anche nel modo di erigere ed accumulare le masse si palesa un desiderio di ritorno. La materia si sfrangia, disegnando nello spazio una sorta di V puntata a terra, che mulina orizzontalmente. Nelle "figure" il capo reclino, sognante, senza sguardo apparente, assieme alle braccia che si riannodano nel perimetro del corpo, designa ancora una volta quieti itinerari di ritorno, cerchi e cedimenti. E. Faccioli ha parlato acutamente di un' "interna ragione malinconica" come della vera sorgente emotiva di Bergonzoni : una malinconia tradotta nella metrica dei soprassalti frenati e dei ripiegamenti. Vi si sente il bisogno organico della terra, l'amore per le materie impastate d'acqua e di umori vegetali.

Nel corso degli anni la fantasia del riposo, esercitata sul "topos" del corpo come guscio intimo e protettivo, ha spinto l'artista verso immagini di ondulata pienezza, facendogli riscoprire la donna-montagna, i monoliti, le figure di sasso. Da rami e cortecce sono nati così edifici antropomorfi. Solo alcune superfici astratte e brani spugnosi di materia ( come le "marogne", purtroppo perdute, e i cartoni ondulati che tanto piacevano a Schirolli e Madella ) sembrano discostarsene. Ma e' poi vero che se ne discostano ?

L'astrazione resta poeticamente ambigua, polivalente. Tanto e' vero che vi si debbono allegare titoli e significati naturali, concreti, come si ostinava a dire Bergonzoni, chiamando quelle plastiche col nome di "case". Edifici, materiali struttivi : mattoni, pietre, pareti. La stessa mano dello scultore assume poi un indice protettivo e avviluppante. Edifica, per così dire, sculture portatili da serrare nel cavo della mano, invitandoci ad impugnarle, ad orientarci tattilmente nei vuoti e pieni del "suo" grembo-casa tanto a lungo esplorato.

Con questi oggetti il discorso si riannoda agli esordi, alle ragioni culturali macinate lentamente per quasi un cinquantennio, con la pazienza e la castigatezza di un adolescente, ma anche con la pigrizia di chi fida nell'eternità del tempo. Quali siano questi riferimenti culturali, e' facile vedere dalla biografia.

Basterà qui ricordare gli essenziali : da una parte le estreme e complesse propaggini dell'antifunzionalismo e del liberty ( Andreani, Wildt ) ; dall'altro l'arcaismo mitico di Martini, e, su un piano affatto diverso benché disceso dalla segreta matrice Art Nouveau, il primo astrattismo di Fontana e forse di Melotti. Nomi, questi ultimi, da pronunciare con grande cautela, non tanto per la differente qualità dei fatti formali, quanto perché agiscono solo indirettamente e a distanza di anni, come ricorso della memoria, quando Bergonzoni approda silenziosamente ad una sua maniera stilizzatissima di fare oggetti: alle plastiche minime delle figurine, delle pietre, del "carton cannete'", cioe' alla "nuova casa".